Earl “Guitar” Williams, la chitarra di Birmingham

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Il Blues Magazine

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Earl “Guitar” Williams (foto di Roger Stephenson)

Francesca Mereu, Bessemer, Alabama

Una casetta di mattoni rossi con il tetto rosa nel cuore del quartiere nero di Bessemer, (cittadina alle porte di Birmingham) ha due insegne alle pareti: Intensive Care Beauty Salon e Music Makers recording studio. Sono arrivata nel mondo al di là del palcoscenico di Earl “Guitar” Williams, 65 anni, parrucchiere per signora, abile chitarrista, cantante blues e carismatico showman.

Earl “Guitar” apre la porta sorridente come al solito.

«Ti presento la signora “mi sto per spazientire”» mi dice indicandomi la bambola con una cuffia di plastica in testa poggiata sul tavolino della reception.

«È da tanto che aspetta d’esser servita. Un giorno lo sarà, forse…». Ride.

Il mondo privato di Earl “Guitar” è un eccentrico salone dai mille colori, come la personalità di questo artista, che nel 2014 è stato introdotto nella Alabama Blues Hall of Fame. Earl “Guitar” è considerato da pubblico ed esperti come una delle migliori chitarre della zona di Birmingham. Riesce infatti a tirar fuori da chitarre elettriche e da cigar box guitars (le sue preferite) suoni coinvolgenti, unici che ben accompagnano la voce profonda e calda dell’artista e le canzoni blues che compone.

Nella sala d’attesa chitarra, batteria a pedale e amplificatore fanno bella mostra di sé, perché, mi spiega, tante clienti sono curiose di ascoltare la sua musica. Prima il taglio e poi il blues, dunque.

Le pareti sono decorate da quadri colorati con ritratti di donne nere e paesaggi del Sud.

«È il tocco di mia moglie» mi spiega, «Una donna eccezionale con la quale sono sposato da 38 anni. Ogni uomo dovrebbe avere una donna come lei».

Earl ha avuto due figli maschi dalla moglie e una figlia da un’altra donna quando era ancora adolescente.

Nel 2010 uno dei figli è stato ucciso da dei ladri entrati in casa. Aveva 22 anni.

«È stato un brutto momento della nostra vita, ma assieme siamo riusciti a superarlo».

Prende poi in mano la chitarra suona e continua a raccontare la sua storia.

«Mi sono innamorato della chitarra da bambino. Nei saloni da barbiere nel centro di Bessemer ascoltavo incantato gli uomini anziani che suonavano le chitarre e mi sembrava incredibile che suoni così belli uscissero da quegli strumenti. In TV ascoltavo poi Elvis, Ricky Nelson e Roy Rogers. Adoravo la loro musica, soprattutto quella di Elvis. Ogni tanto mostravano anche i neri (cosa rara al tempo) come Freddie King e B. B. King. Ascoltavo questi artisti e volevo riprodurre la loro musica. La nonna aveva un pianoforte in casa, ma suonarlo non mi veniva naturale. La chitarra è sempre stata il mio strumento».

A casa Williams i soldi erano però pochi. Earl è infatti il sesto di nove figli.

«Mio padre era un operaio e i soldi per comprarmi la chitarra non ce li aveva. Avevo però sentito che [il chitarrista e cantante blues di Chicago] Bo Didley si costruiva le chitarre con le scatole dei sigari e così ho fatto anch’io».

Earl legò una scatola sigari King Edwards a un manico di scopa. Le corde erano dei semplici fili da pesca. Con questo strumento improvvisato suonò Stand by me.

«È stata la mia prima canzone. Avevo circa sette anni».

«Vivevamo a Bessemer dall’altra parte dei binari. Un canale, la ferrovia e una strada ci separavano dal quartiere dei bianchi. Un posto dove vivevano tanti uomini del ku klux klan. Mio padre attraversava la strada ogniqualvolta ne vedeva uno e evitava di trovarsi da quelle parti dopo il tramonto perché a quell’ora molti neri furono impiccati, o massacrati di botte. Per loro eravamo come animali».

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