Putin fa cantare con rabbia

Il Giornale della Musica

Izobrazhenie_v_rabfak

Novembre 2011

Putin fa cantare con rabbia

Francesca Mereu

Mosca – Neurologi e psichiatri si scatenano in una sorta di danza tribale sotto gli occhi dei pazienti impauriti, dei poliziotti bevono e imitano atti sessuali, alcune persone si spogliano in strada, altre fumano avidamente muovendo il corpo al ritmo di una canzone rock. Scene da un paese di matti: è così che i Rabfak — gruppo rock di Yekaterinburg — vedono la Russia che a dicembre voterà per il partito pro-Cremlino Russia Unita e a marzo eleggerà il potente premier Vladimir Putin presidente per la terza volta.

La clip – un collage delle immagini più strane raccolte in rete — accompagna la canzone sarcastica Nash durdom golosuyet za Putina, o Il nostro manicomio vota per Putin. Il protagonista è un paziente di uno squallido ospedale psichiatrico che pone domande che da quando Putin è salito al potere nel 2000 in Russia sono diventate tabù: «…Ho chiesto al medico perché non abbiamo la chiave della stanza, perché io ho un buco in testa e perché anche nel budget del nostro paese c’è un buco … Gli ho chiesto di raccontarci del petrolio e del gas … ma come risposta ho sempre ricevuto una puntura nel culo».

E con il posteriore ridotto ad un colabrodo, al povero psicopatico non resta che arrendersi e fare come fanno tutti: dare il proprio voto a Putin.

«È tutto così difficile, è tutto così confuso/ Non c’è tempo per cercare di capirci qualcosa, amico/ Il nostro manicomio vota per Putin/ Il nostro manicomio è contento di Putin/ Putin è sicuramente il nostro candidato».

Il video, postato su YouTube, ha raccolto più di un milione di visualizzazioni in meno di un mese ed è uno temi più popolari di discussione sulla Runet (così è chiamato il ramo russo di Internet). Alcuni blogger hanno persino iniziato a raccogliere firme per far partecipare «Nash Durdom» al prossimo Eurofestival. «È la colonna sonora ideale per accompagnare questa farsa che chiamiamo “elezioni”», commenta un blogger, «L’Europa deve sapere a che manicomio si è ridotta la Russia».

Mentre Boris Nemtsov, il leader di un partito d’opposizione bandito dalle parlamentari, scrive nel suo blog che i Rabfak avevano osato «calunniare il “nostro tutto” [Putin] con un tocco così carismatico che ora è impossibile per il potere fare la faccia seria mentre fa finta di imitare un processo politico che in Russia ormai non esiste più».

«I russi sono stanchi: all’inizio Putin era amato, ora però non vuole più lasciare il potere», spiega l’autore del testo Alexander Yelin.

Lo scorso settembre Putin ha infatti annunciato che si sarebbe ricandidato per la poltrona che aveva ricoperto dal 2000 al 2008 e in un paese dove tutto è sotto il controllo del Cremlino la vittoria del premier è ormai data per scontata. Molti, però, non vogliono rassegnarsi a 12 anni di regime putiniano, o a un periodo di stagnazione paragonabile solo al regno del leader sovietico Leonid Brezhnev.

«Ci ha levato il diritto di voto, il diritto di scelta», continua Yelin.

Parole che assumono un significato particolare perché a pronunciarle è una delle persone che ha più contribuito a fomentare il culto della personalità di Putin. Nel 2002 Yelin ha, infatti, composto il testo della canzone che un terzetto di avvenenti ragazze aveva dedicato a Putin, un ritornello diventato popolarissimo che diceva: Voglio qualcuno come Putin, pieno di forza/ Qualcuno come Putin che non beve/ Qualcuno come Putin che non mi fa del male/ Qualcuno come Putin che non scappa via.

Il messaggio di questi versi era evidente: Putin era l’unico modello di maschio in un paese in cui gli uomini si infiacchiscono, bevono come spugne, picchiano le donne e le abbandonano.

Ma se nel 2002 Putin era visto come il giovane che aveva messo ordine nel paese dopo il caos dell’era dell’ex presidente Boris Yeltsin, ora la sua decisione di insediarsi a vita nel Cremlino è diventata «inaccettabile», continua Yelin. Ed proprio questo il motivo per cui il noto compositore ha deciso di mettere il suo talento a disposizione dei Rabfak e partecipare così al concorso indetto dal famoso blogger Aleksei Navalny: dissuadere a suon di musica i russi dal votare per Putin e per il suo partito «di ladri e farabutti» (così Navalny ha battezzato Russia Unita).

«Il potere attuale ha irritato la gente tal punto che questo sentimento non poteva non riflettersi nel lavoro dei musicisti rock e dei rapper. Sono loro infatti gli indicatori più precisi che descrivono il tipo di umore che regna nella società», commenta Artemy Troitsky, il più celebre critico musicale russo.

«Gli artisti influenzeranno di sicuro il processo di voto, ma purtroppo il risultato non cambierà: le elezioni saranno come al solito orchestrate nei minimi particolari dal Cremlino», aggiunge Troitsky.

Ed è proprio questo a dare fastidio: «non Putin, ma il fatto di non avere più il diritto scelta», dichiara la leggenda del rock russo Andrei Makarevich che fino a un anno fa era tra i musicisti più vicini al potere. Nel 2008 era stato uno dei pochi artisti ad esser stato invitato a suonare ad un concerto per festeggiare l’insediamento del delfino di Putin Dmitry Medvedev al Cremlino. Makarevich, 58 anni, aveva anche aiutato Medvedev — un fan dei Deep Purple — ad organizzare un incontro con i rocker più famosi del paese.

«Non mi piace quello che succede oggi. Ci hanno già detto chi sarà il nostro futuro presidente. Ho la sensazione che ci stiano levando anche l’ultimo briciolo di democrazia rimasto», ha detto Makarevich in un’intervista trasmessa da Radio Svoboda.

E a ottobre il celebre cantante dei Mashina Vremeni (Macchina del Tempo) ha rilasciato (sempre su YouTube) la canzone al vetriolo K nam v Kholuyovo priezhaet Putin, Putin viene da noi a Kholuyovo. La storia, cioè di una fittizia cittadina di provincia in grande fermento per accogliere il potente premier. Kholuyovo (nome che deriva dal sostantivo kholuy, lecchino) voleva fare le cose in grande: le strade dovevano brillare, e gli abitanti senza protestare dovevano riunirsi davanti alla stazione nuova di zecca per dare il benvenuto a Putin. Ma tutto invano: il tanto atteso ospite non arriverà mai a Kholuyovo.

A Kholuyova arriva Putin per vedere come vive il suo popolo/… La stazione è stata finita in un baleno/…I barboni li hanno sbattuti in prigione/ Le strade del centro sono state ripulite dal letame/

Gli scolari di Kholuyovo indossavano invece le divise di Nashi, il movimento giovanile del Cremlino dedito al culto di Putin («Non si sa mai magari Putin fa domande»), mentre l’erba rinsecchita delle aiuole era stata tinta di verde per farla sembrare più fresca, una procedura comune nelle cittadine di provincia – e non solo – che si apprestano a ricevere autorità importanti.

«A qualcuno può sembrare divertente/ Ma c’è poco da ridere/ Tutta l’elite s’era raccolta alla stazione e Putin non è arrivato»,canta Makarevich.

La canzone, metà cantata e metà parlata, e accompagnata da una chitarra acustica, ricorda tanto i pezzi di protesta del periodo sovietico, un genere in cui l’artista non si era mai cimentato prima, nonostante fosse diventato famoso negli anni Settanta, gli anni della cosiddetta “rivoluzione del magnetofono”.

«Era da tanto che in Russia non si vedeva così tanta attività politica nel mondo della musica — osserva Troitsky — È una cosa positiva».

E forse non è un caso che i DDT, gruppo rock famoso non solo per la musica e i testi, ma anche per le critiche rivolte al regime di Putin, ha deciso di rilasciare poco prima delle elezioni il nuovo album Inache (Altrimenti) e di intraprendere un tour mondiale. Il leader Yuri Shevchuk, 54 anni, protagonista attivo del rock underground sovietico, ha più volte criticato il potere per le violazioni dei diritto umani e per il bavaglio imposto a stampa e televisione. E più i DDT diventavano popolari, più Shevchuk criticava il potere. L’artista si è esibito nella Cecenia distrutta dalla guerra, in Kosovo e in Aghanistan. Ciononostante a maggio del 2010 è stato invitato ad un incontro tra Putin e un gruppo di artisti e musicisti. Uno sbaglio da parte del Cremlino che voleva usare l’evento per mostrare al popolo l’amore del premier per la musica e l’arte, ma che ha ottenuto l’effetto contrario. Se gli altri artisti, per paura, sorridevano e annuivano alle battute del premier, Shevchuk senza preamboli gli chiede bruscamente: «Vladimir Vladimirovich ha un piano – un piano serio e onesto – per liberalizzare e democratizzare il nostro paese? Un piano che mette fine alla repressione delle associazioni non governative e alla paura che noi cittadini abbiamo della milizia? Un’altra cosa: la prossima marcia dei dissenzienti sarà repressa dalla sua milizia?».

Putin non abituato a domande dirette cerca di interromperlo chiedendogli chi fosse, ma Shevchuk, forte della sua fama, gli risponde brevemente «Sono Yura Shevchuk», (il diminutivo di Yuri) e va avanti con la domanda.

La scena, tagliata da tutti i telegiornali, ha fatto impazzire la blogosfera russa. «Bravo Shevchuk, sei l’unico ad aver avuto il fegato», era il commento più postato.

Ora però l’artista a proposito del suo nuovo album sostiene che non è sia stato ispirato dalla realtà politica del momento.

«Per amor di Dio, non è un album politico!, spiega in un’intervista su Radio Ekho Moskvy (Eco di Mosca), o una delle poche radio indipendenti del paese.

«Non do consigli su chi votare. Cantiamo semplicemente che le persone devono essere libere, libere dentro. Siamo cittadini di un paese molto particolare e nell’album affrontiamo temi che riguardano la realtà russa, ma non parliamo di partiti politici. Non ci sono dichiarazioni politiche».

Ma i titoli — e soprattutto i testi — fanno pensare altrimenti in Nuova Russia il paese «dorme sui suoi sogni infranti», come «una scimmia che nutre un cucciolo morto e non capisce che il piccolo non è vivo», in Canzone sulla libertà si descrive un paese nella perenne ricerca di emancipazione, mentre in Verranno a prenderti il cittadino russo è angosciato, spaventato, inseguito dalle autorità che «conoscono il tuo indirizzo, il tuo numero di telefono, sono dietro la porta, ti hanno trovato … sono venuti a prenderti».

«È un album non politicizzato nel senso che non invita a votare per un determinato partito, ma è la reazione dell’artista-cittadino alle vicende che negli ultimi dieci anni caratterizzano la realtà del nostro paese. Era da tanto tempo che Shevchuk aveva in mente un album del genere», spiega Troitsky.

Navalny continua intanto a ricevere canzoni contro il regime e il partito «dei ladri e dei farabutti» che lo appoggia: «Sono contento», scrive su Twitter, «Che i giovani russi si siano finalmente svegliati dal quel torpore che gli aveva avvolti negli ultimi anni e sfoghino con la musica la rabbia verso questo potere».

Anche Troitsky è ottimista: «L’ambiente musicale in Russia è in pieno fermento. Erano anni che non si vedeva un’attività del genere. Che dire? Grazie Putin e Medvedev per aver, con la vostra autocrazia, risvegliato l’estro dei nostri musicisti

 

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