Persone speciali
Rose
Erano gli anni Sessanta. Eravamo in un cinema di Anniston. Nostra figlia Nora ci chiese perché non occupavamo mai le poltroncine del balcone che sovrastava la sala.
«È la zona riservata alle persone speciali» le rispose Fred, mio marito.
Si girò e iniziò a fissare, come solo i bambini sanno fare, le persone che il padre aveva chiamato «speciali». I neri al tempo pagavano il biglietto come noi, ma non potevano sedersi dove volevano. Erano segregati in uno spazio angusto, in alto, ai lati del proiettore, il cosiddetto colored balcony, il balcone per neri.
Io e Fred eravamo contrari alla segregazione, se avessimo potuto, avremmo distrutto tutti i cartelli che chiamavano alla separazione delle razze, ma nell’Alabama del tempo saremmo stati visti come terroristi al giorno d’oggi.
«Perché anche noi non possiamo essere come loro, mamma? Anch’io voglio tante treccine con i fiocchi colorati!»
Nora aveva poco più di 4 anni e non vedeva il colore della pelle, ma solo quello dei bei fiocchi che spesso adornavano le pettinature fantasiose delle bambine di colore.
Le promisi di comprarle i fiocchi e di farle le treccine.
«E allora diventerò anch’io speciale?» mi chiese.
«Certo!»
Non era facile al tempo spiegare la segregazione ai bambini, o almeno non lo era per noi. Ci eravamo promessi che Nora sarebbe cresciuta libera da pregiudizi di ogni sorta. Come fare? Non lo sapevamo, perché non era facile nell’America del tempo, soprattutto nel Sud. Ci eravamo così inventati la storia delle persone «speciali».
In Alabama si respirava aria di rivolta, i neri erano stanchi dei soprusi che subivano giornalmente e noi speravamo che riuscissero veramente a conquistare i loro diritti. Sognavamo una società multietnica per nostra figlia.
«Babbo, se porti gli abiti colorati e i cappelli come quelli dei signori diventerai speciale anche tu» disse soddisfatta, convinta d’aver capito.
Fred sorrise. Quanto poteva durare la storia delle persone «speciali»?
Ben presto Nora sarebbe andata a scuola, avrebbe imparato a leggere e si sarebbe accorta dei numerosi cartelli della separazione ― i cartelli con su scritto solo per neri, solo per bianchi ―, allora avremmo dovuto dirle perché le persone «speciali» non potevano usare i nostri spazi, i ristoranti, gli ospedali… Il giorno in cui dovemmo spiegare a nostra figlia la segregazione arrivò.
«Sono persone speciali, Nora» le disse Fred, «Molto speciali. Siamo noi quelli ad essere del tutto sbagliati».
Mai come quel giorno ci vergognammo d’essere bianchi.