Martedì, primo marzo 2022, il Cremlino ha bloccato la radio Ekho Moskvy (Eco di Mosca) e la TV Dozhd, le ultime voci indipendenti del paese. Secondo le autorità, avrebbero diffuso notizie “false” sul conflitto in Ucraina. Intanto, la Duma, il parlamento russo, sta lavorando a un disegno di legge che prevede punizioni fino a 15 anni di carcere per giornalisti che diffondono notizie “false”.
In questo capitolo del mio libro “Il Grande Saccheggio” ricordo com’è iniziata la stampa libera in Russia e parlo della nascita di Ekho Moskvy.
Da anni, io e mio marito iniziamo la giornata ascoltando Ekho, anche ora che viviamo negli Stati Uniti. Stamattina non sentire le loro voci su tuning è stato triste.
Respiro della stampa
La stanza grande del bilocale di Regina e Vsevolod si trasforma in salotto quando Vsevolod suona il pianoforte per gli amici; in sala da pranzo quando tirano fuori, da dietro il divano, il tavolo pieghevole e lo apparecchiano per dieci o più persone; in camera da letto quando aprono il divano e ci buttano sopra lenzuola e coperte.
È insomma la tipica camera multifunzione degli appartamenti sovietici. Spazi ristrettissimi in cui le famiglie si adattano come possono. Quando hanno gente a cena Regina e Vsevolod amano ripetere il proverbio: v tesnote, da ne v obide, che significa più o meno “si sta stretti, ma quel che importa è l’allegria”.
La mamma di Regina, la terza inquilina dell’appartamento, ha adornato la bolshaya komnata (stanza grande) con un enorme tappeto usbeco che riveste quasi tutta la parete contro la quale è disposto il divano letto. Un altro tappeto, tessuto nelle fabbriche statali, copre il pavimento; tappeti e tappetini rivestono invece le poltrone e il divano per preservarli dall’usura.
Una parete è occupata dalla stenka, il mobile multiuso che funge da libreria, vetrina per bicchieri e ceramiche, guardaroba e scarpiera.
Sulle mensole e negli scaffali Regina e Vsevolod custodiscono gelosamente centinaia di riviste e giornali: hanno iniziato a collezionarli intorno alla metà degli anni Ottanta, quando Gorbachev è al potere, e l’indirizzo dei giornali comincia a cambiare.
La rivista letteraria “Novyi Mir” (Nuovo Mondo) inizia a dare spazio ad autori inediti in patria, come Aleksandr Solzhenitsyn, Boris Pasternak, Vladimir Voinovich. Il mensile “Ogonyok” (Fiammella) pubblica inchieste sulle bande criminali, sui problemi economici del Paese e le pagine letterarie ospitano le opere di Marina Tsvetaeva, Vladimir Nabokov e Iosif Brodsky. “Ogonyok” diventa lo specchio del rapido cambiamento che avviene in Unione Sovietica e Regina non riesce a credere che una rivista pubblicata dalla “Pravda” (Verità), il portavoce del Partito Comunista, si sia trasformata a tal punto da presentare posizioni e punti di vista così diversi da quelli del Partito. Il settimanale “Argumenty i Fakty” (Argomenti e Fatti) esce con articoli di critica al regime staliniano e ha persino riportato il numero delle vittime del crudele dittatore. Sulle pagine di questo giornale Regina ha letto resoconti su Solidarnosc – il primo sindacato indipendente del blocco sovietico, nato in Polonia – e ha scoperto che il deficit del bilancio sovietico è di cento milioni di rubli.
Regina e Vsevolod sono due classici esponenti dell’intellighenzia sovietica; quarantenni, lei insegna giornalismo all’Università statale di Mosca, lui pianoforte al Conservatorio. Regina ricorda che in tempo sovietico erano costretti ad ascoltare di nascosto la radio americana “Radio
Svoboda” (Radio Libertà) – che trasmetteva in russo in onde corte – a volume basso, perché qualche vicino avrebbe potuto sentirli e, per dispetto, denunciarli alle autorità sovietiche.
Con l’avvento di Gorbachev le antiche restrizioni vengono meno. E durante le cene super affollate da Regina e Vsevolod non si parla d’altro. Regina si sente come una bambina affamata a cui hanno spalancato le porte di una grande pasticceria. I suoi sentimenti sono condivisi da molti. La maggior parte dei suoi amici è abbonata ad almeno tre pubblicazioni, per non rischiare di perdere un articolo importante, un racconto inedito o una poesia.
La voglia di leggere e di sapere è tale che in quegli anni la tiratura di molte pubblicazioni aumenta battendo ogni record mondiale. “Novyi Mir” passa da 422.000 copie nel 1985 a 2.620.000 nel 1990; “Ogonyok” da 1.400.000 a 4.600.000, mentre “Argumenty i Fakty” diventa il settimanale a più alta tiratura al mondo con 33.000.000 di esemplari stampati[1].
Un boom mai visto prima.
Anche i giornalisti, mi racconta Regina, in quegli anni sono cambiati. Non sono più semplici impiegati statali con il compito di esporre in un russo corretto il volere del Partito – Regina sa bene di cosa parla, visto che ne ha istruiti tanti – ma professionisti animati da una passione e un impegno mai visti prima. Tanti suoi ex studenti iniziano a investigare, si danno da fare per scoprire le malefatte del potere; non hanno più paura di analizzare gli eventi per quel che sono e trarre le conclusioni. Non devono più chiedere il permesso ai censori.
Quando sale al potere, nel 1985, Gorbachev allenta il controllo del Partito sui mass media. Già all’inizio del 1986 l’agenzia di censura Glavlit non ha più poteri. Tre anni più tardi i censori stessi – la cui esistenza è ormai nota a tutti – dichiarano di non occuparsi più di censura politica; il loro compito è vigilare affinché i segreti militari non finiscano sulle pagine dei giornali.
Regina ama ripetere che prima non si poteva fare niente, poi le cose che si potevano fare sono aumentate di giorno in giorno. «Sono stati anni incredibili! Anni in cui leggere e ascoltare è stato più interessante che vivere.»
Sempre in quegli anni iniziano a comparire i primi giornali e radio privati. Gorbachev ha infatti approvato una legge che permette ai cittadini di fondare un giornale, una radio o un canale televisivo. Nascono così testate registrate da cooperative di giornalisti o da nuovi ricchi.
Quella che oggigiorno è la radio più indipendente e professionale della Russia: “Ekho Moskvy” (Eco di Mosca), inizia a trasmettere in quel periodo. Una stazione che nasce dall’entusiasmo di alcuni giornalisti che lavorano alla “Gosteleradio”, l’Agenzia radiotelevisiva statale. Vogliono fondare qualcosa di originale, di fresco; una radio che riesca ad appassionare e interessare un pubblico stanco del tono monotono e delle notizie filtrate della radio statale.
“Ekho Moskvy” mette insieme giornali radio obiettivi, senza commenti, e anche analisi e discussioni su temi diversi, sia politici sia sociali; per la prima volta permette agli ascoltatori di esprimere la loro opinione partecipando alle trasmissioni in diretta telefonica. Il formato è lo stesso ancora oggi.
Inizia a trasmettere il 22 agosto del 1990 con un programma di due ore, nel quale il pubblico ascolta l’intervista a uno dei leader dei riformatori di Mosca, Sergei Stankevich; di seguito viene mandata in onda la canzone dei Beatles All My Loving.
“Ekho Moskvy” diventa ben presto un forum per un aperto dibattito politico.
«All’inizio», mi racconta Sergei Korzun, uno dei fondatori, «gli ascoltatori avevano paura di parlare alla radio. Alcuni accusavano i giornalisti di costringerli a esprimere apposta il loro pensiero per registrarli e consegnare il nastro al Kgb. La gente poi si è abituata, e “Ekho Moskvy” è diventata la radio di riferimento degli intellettuali di Mosca e non solo.»
In casa di Regina la vecchia e ingombrante radio di fattura sovietica, usata per ascoltare “Radio Svoboda”, è sempre sintonizzata su “Ekho Moskvy”. Durante gli eventi di Vilnius del gennaio del 1991 – quando il potere non vuole che si sappia che l’esercito ha sparato contro i manifestanti che chiedono l’indipendenza dall’Unione Sovietica – “Ekho Moskvy” informa i suoi ascoltatori trasmettendo direttamente dalla capitale lituana.
Sono bastati pochi anni per trasformare i giornalisti russi in instancabili lottatori a difesa della libertà di stampa, dice Regina. E cita gli eventi – tutti avvenuti nel 1991 – che hanno segnato questa tappa importante.
La giornalista Tatyana Mitkova, per esempio, si è rifiutata di leggere in TV la versione ufficiale dei fatti di Vilnius che ometteva l’uccisione di quattordici persone e le centinaia di feriti.
Un’altra Tatyana, Tatyana Malkina, nell’agosto dello stesso anno, durante una conferenza stampa, chiede al vicepresidente Gennady Yanayev, capo dei cospiratori che tengono Gorbachev rinchiuso in Crimea – se si rende conto di aver messo in atto un colpo di Stato.
La Malkina ha ventiquattro anni e non è affatto impaurita dai congiurati che vogliono fermare le riforme democratiche e riportare il Paese al passato. E non lo è nemmeno il cameraman di Canale 1, che inquadra la faccia acqua e sapone della giovane e poi le mani tremanti dell’anziano vicepresidente.
Eppure i congiurati hanno fatto chiudere quasi tutti i giornali e hanno posto la TV e la radio sotto il loro controllo. Con quella conferenza stampa vogliono far arrivare il loro punto di vista a centocinquanta milioni di telespettatori. Ma basta una semplice domanda a metterli in difficoltà. Al punto tale che Yanayev s’ingarbuglia e non riesce a rispondere.
Oltre a questa conferenza stampa i giornalisti di Canale 1 riescono a mandare in onda un servizio che – per imbrogliare la censura – inizia con scene di vita moscovita e finisce con le immagini di Yeltsin che da sopra un carro armato urla d contro i golpisti.
I cospiratori hanno proibito l’uscita dei giornali nazionali, ma i giornalisti continuano ad andare al lavoro, a raccogliere le notizie che poi stampano e appendono nei corridori della redazione, nelle strade del centro, sui mezzi pubblici. Nel frattempo undici editori indipendenti si uniscono e creano un giornale anti coup che chiamano “Obshchaya Gazeta” (Giornale in Comune). E così la notizia del golpe si diffonde tra la gente. Molti giornalisti mi raccontano di aver sentito il dovere morale d’informare i lettori.
La stampa ha ormai assaporato il gusto della libertà. Un gusto a cui si abitua in fretta.
Grazie ai mezzi d’informazione la gente capisce l’importanza di quanto sta succedendo nel paese e scende in strada, a sostenere Yeltsin e a protestare contro i golpisti.
I giornalisti russi mostrano la stessa passione durante l’ottobre nero del 1993, quando l’Unione Sovietica non esiste più e Yeltsin lotta contro il parlamento. Questa volta a imporre la censura è proprio il presidente che la stampa ha appoggiato durante il golpe di due anni prima. Ma Yeltsin sostiene che per una volta, in nome della democrazia, è necessario imporre la censura. Sono misure d’emergenza, misure temporanee, dice ai giornalisti, in contraddizione con quanto ha promesso quando è salito al potere: e cioè che avrebbe sempre difeso la libertà di stampa.
Per prima cosa fa chiudere i giornali comunisti che criticano le sue riforme: “Den” (Giorno), per esempio, che chiama il governo di Yeltsin ”governo di occupazione americano”.
Alla stampa che lo ha sostenuto – la cosiddetta stampa liberale, o democratica – Yeltsin ordina il silenzio su quanto avviene in parlamento: non bisogna dare la parola ai deputati ribelli, ed è necessario ignorare il numero dei civili che muoiono.
Come forma di protesta contro la censura “Nezavisimaya Gazeta” (Giornale Indipendente) esce con alcune pagine bianche; “Segodnya” (Oggi) riempie invece gli spazi bianchi con la parola censura.
Alla fine Yeltsin deve arrendersi; almeno con la stampa democratica: i giornali comunisti rimangono chiusi. Capisce che togliere la libertà di parola a quelli che l’hanno sostenuto può avere un effetto boomerang.
La TV però è troppo pericolosa, non la si può lasciare libera, e infatti continua a essere controllata dal Ministero dell’informazione. Le notizie vengono date con estremo ritardo, oppure vengono omesse. I russi che non leggono i giornali conoscono solo mezze verità. Di sicuro non sanno che il parlamento ha votato l’impeachment di Yeltsin e nominato un presidente ad interim; così come non sanno che ai parlamentari, barricati nella Casa Bianca, sono state tagliate acqua e luce. La TV si guarda bene dal dire al pubblico quali siano state le ragioni che hanno spinto i deputati a protestare. Si parla solo di conservatori che vogliono destabilizzare il processo di democratizzazione del Paese. Per questo motivo molti russi hanno difficoltà a comprendere la differenza tra la crisi del parlamento del ‘93 e il golpe del ‘91.
La stampa ha pagato a caro prezzo la shokovaya terapia. I russi come Regin, nel ‘93 non hanno più i soldi per comprare giornali e riviste; le tirature da Guinness dei primati diventano un ricordo, anche a causa dell’aumento dei costi di stampa e distribuzione.
Per sopravvivere i direttori dei giornali sono costretti a chiedere sussidi allo Stato; Yeltsin ha in mano lo strumento che gli permetterà di mettere la stampa a tacere: tagliare i fondi.
Inoltre la legge sui mass media contiene un articolo controverso secondo il quale le pubblicazioni che abusano della loro libertà – incitando per esempio a rovesciare il governo – possono essere chiuse. E dopo la crisi della Casa Bianca, in vista delle nuove elezioni legislative, Yeltsin fa chiudere tutte le testate a lui ostili e oscura diversi programmi televisivi che lo criticano. Ai russi dice che sta lottando contro il ”pericolo comunista”.
Dagli schermi televisivi scompaiono diversi talk show, tra cui “Krasnyi kvadrat” (Quadrato rosso), che andava in onda sul Canale 1; “Shesot Sekundov” (Seicento secondi), trasmesso dal 1987 su un canale di San Pietroburgo e “Parlamentsky Chas” (L’ora del parlamento) su Rtr. Ciononostante, i media russi continuano a offrire diversi punti di vista e a diventare sempre più professionali.
Ogni giorno in edicola compaiono nuovi giornali. Ormai si trova di tutto: riviste femminili e di viaggi, giornali di cronaca nera, analisi politica, magazine di moda. Nel 1993, stando ai dati del Ministero dell’informazione, in Russia vengono concesse sessanta licenze a settimana per nuovi giornali, radio e canali televisivi.
Nascono i primi network privati: Tv6 e Ntv, mentre Canale 1 firma un contratto per vendere spazio pubblicitario a sei compagnie private.
Tv6 è un canale d’intrattenimento con musica, telefilm e fiction di importazione. La Ntv, una sigla che sta per Nezavisimoye Televideniye (Televisione Indipendente), è il primo canale a investire sull’informazione. Il fondatore, Vladimir Gusinsky, ex attore e regista teatrale arricchitosi alla fine degli anni Ottanta facendo il banchiere, proprietario della Banca Most, è uno dei grandi magnati russi nel campo dei media, con il controllo dei quotidiani “Segodnya”, “Ekho Moskvy” e diversi altri. Per la sua Ntv Gusinsky ha ingaggiato i migliori giornalisti del Paese, creando un gioiello che è diventato ben presto il canale di riferimento per l’emergente classe media e per l’intellighenzia russa.
Nella Mosca degli anni Novanta Ntv offre telegiornali di qualità, programmi di analisi e investigazione giornalistica sulla corruzione e gli intrighi politici che dominano i corridori del potere in Russia. L’intellighenzia moscovita cerca di essere a casa quando vanno in onda il programma settimanale di politica Itogi (Risultati) e quello satirico Kukly (Pupazzi).
In Kukly ogni politico viene rappresentato da un pupazzo di gomma che gli somiglia e che è protagonista di ruoli diversi in scenette spesso ispirate ai classici della letteratura o a episodi storici. La marionetta del presidente Yeltsin è paffuta e parla con la voce impastata tipica di un ubriaco. L’autore del programma, Viktor Shenderovich, mi racconta che l’idea di Kukly gli è venuta in mente parlando con la gente. Molti, mi dice, desideravano un programma simile. «Allora c’era tanta voglia di essere informati in modo obiettivo. Ntv è stata come una calamita che ha attirato molti professionisti. E lo ha fatto in un periodo in cui in Russia si apprezzava il talento. Ntv è stata una buona scuola che ha permesso a tanti di esprimersi. Gusinsky era un regista, e questo ci ha aiutato moltissimo, perché è una persona con uno spiccato senso dell’estetica, che cura tutto nei minimi particolari. Basti pensare che la programmazione di oggi nella televisione russa è ispirata alla Ntv del tempo.»
In quegli anni i giornalisti russi devono anche fare i conti con la guerra.
Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, Dzhokhar Dudayev, un ex Maggiore Generale delle Forze aeree sovietiche, dichiara l’indipendenza della Cecenia dalla Russia; Yeltsin risponde mandando l’esercito nella piccola repubblica del Caucaso del nord, ma i ceceni li rimandano a casa. Per tre anni la Cecenia, indipendente “de facto”, viene scossa da una vera e propria guerra civile tra indipendentisti e filo-russi. Mosca si comporta in modo ambiguo: finanzia le forze filo-russe, ma al tempo stesso cerca di comprarsi Dudayev.
Alla fine del 1994 Yeltsin riunisce il Consiglio di sicurezza per approvare lo spiegamento di forze in Cecenia. La Ntv ha già quattro troupe televisive nella regione, pronte a coprire quello che diventerà il primo conflitto militare della Russia democratica. Quando l’11 dicembre del 1994 i convogli armati iniziano a muoversi verso la Cecenia, i canali della televisione russa fanno a gara a chi dà prima la notizia o a chi riesce a mandare in onda il reportage migliore. Quasi tutti i giornali hanno uno o più corrispondenti nella zona, così la guerra arriva nelle case dei russi con i suoi agghiaccianti particolari.
Per la prima volta i giornalisti russi rischiano la vita. Si vuole mostrare il conflitto da ogni punto di vista: tecniche militari, violazioni dei diritti umani e miseria. Uno show di professionalità mai visto prima nella televisione russa e nella carta stampata.
Le autorità cercano di trasformare i media in strumenti di propaganda governativa, ma ogni tentativo si dimostra vano. Se i generali vantano l’operato dell’esercito, la Ntv mostra i soldati affamati e mal equipaggiati, militari di leva di appena diciotto anni che conoscono la guerra solo attraverso i giochi infantili. Quando le autorità nascondono il numero delle vittime, i giornalisti danno le loro stime e la televisione mostra i corpi abbandonati nelle fosse comuni.
Diversi colleghi russi che hanno coperto la prima campagna cecena mi raccontano che la censura è stata pressoché inesistente e, nonostante la crudeltà della guerra, l’accesso alle informazioni relativamente facile: è stato possibile parlare con i militari russi, con i civili, persino con i ribelli ceceni, i quali, interessati a fornire il loro punto di vista, hanno concesso interviste, partecipato a conferenze stampa e posato volentieri per i fotografi. Molti dei giornalisti impegnati sul fronte hanno offerto un’immagine romantica dei guerriglieri, facendoli apparire come eroi coraggiosi.
Gli esperti sostengono che la capillare copertura della guerra da parte di giornali e televisioni ha fatto sì che la Russia sia stata sconfitta su due fronti: quello militare e quello mediatico. Le cruente immagini dei federali bruciati vivi dentro i carri armati, così come quelle dei corpi dei ceceni legati con il filo spinato e trascinati dai mezzi blindati nelle fosse comuni, hanno scioccato l’opinione pubblica, sempre più critica nei confronti di Mosca.
Dudayev viene ucciso dalle forze russe nell’aprile del 1996. Tuttavia il Cremlino si vede costretto al ritiro e firma, nell’agosto di quell’anno, un accordo di pace (detto di Khasavyurt) con il nuovo presidente ceceno, Aslan Maskhadov. Un accordo che mette fine alla prima guerra cecena e de facto riconosce l’indipendenza della Repubblica.
Molti dei giornalisti con cui ho occasione di parlare si sentono importanti. Siamo il quarto potere, mi dicono. Con le nostre parole abbiamo fermato una guerra sanguinosa. Ancora non sanno che quella sarà la prima e ultima volta che avranno l’occasione di documentare la guerra in modo libero e obiettivo. Il potere ha imparato bene la lezione: per vincere qualsiasi conflitto, bisogna per prima cosa tenere la stampa sotto controllo, e poi pensare alla strategia militare.
Ho incontrato Regina e Vsevolod nel 2014. Vivono sempre nello stesso appartamento, solo che ora è arredato con mobili e divani Ikea. I tappeti appesi ai muri sono stati rimpiazzati da quadri in stile moderno. I giornali e le riviste non sono più in bella mostra negli scaffali. Alcuni sono stati buttati per ”alleggerire l’appartamento”, altri hanno finito per riempire una stanza della dacia fuori Mosca. «Non siamo riusciti a sbarazzarcene del tutto, perché sono un ricordo. Il ricordo di quello che in Russia non esiste più: la libertà di stampa», mi dice Regina, seduta sul divano della bolshaya komnata mentre ascoltiamo Vsevolod suonare una composizione di Chaikovsky.
Da quando la mamma di Regina è venuta a mancare, nel 2000, la bolshaya komnata ha perso la funzione di camera da letto, ma il tavolino pieghevole è sempre nascosto dietro il divano, in attesa di essere apparecchiato per una cena tra amici.
E il motto continua a essere: v tesnote, da ne v obide!
[1] Prima il giornale stampava 3.000.000 di copie.