Alice Mae Blues Festival

 

Francesca Mereu, Ripley, Mississippi

Il Blues Magazine

Anche nel Sud degli stati Uniti, sono pochi i concerti in questi tempi di pandemia.

A Ripley, nel Nord del Mississippi, c’è un, però, l’Alice Mae Blues Festival con nomi troppo invitanti per lasciarselo sfuggire: Kent Burnside, Kenny Brown, Dwayne Burnside, Garry Burnside e tanti altri.

Dal 2006, ogni anno, eccetto quest’anno, a Holly Springs, a circa 40 miglia da Ripley, si tiene il North Mississippi Hill Country Picnic, un festival che ha lo scopo di promuovere l’Hill Country Blues, lo stile blues di questa zona.

Il festival a cui andiamo — un tributo ad Alice Mae, la moglie della leggenda dell’Hill Country Blues RL Burnside — sembra essere una sorta di “Picnic” in forma ridotta.

Da Birmingham, in Alabama, prendiamo la Highway 22 che in circa tre ore ci porterà a destinazione.

È un venerdì di fine di ottobre. Lasciamo una Birmingham piena di sole, con il termometro che segna trenta gradi. È bello prendere la Highway e avere una meta, dopo avere trascorso mesi e mesi in casa.

Più ci allontaniamo da Birmingham, più aumentano i pick-up full size. Molti trainano enormi rimorchi carichi di balle di cotone o di fieno.  Anche i Camper sembrano farla da padrone: diversi pensionati ne hanno comprato uno per potere viaggiare, per i tanti parchi del Paese, al sicuro dal virus.

Attraversiamo campi di cotone con i batuffoli candidi in attesa di essere raccolti; ranch e fattorie delimitati da ordinate staccionate di legno che sembrano non finire. Vediamo solo cartelli che invitano a votare per Trump e Pence (siamo in periodo elettorale). Per il resto il paesaggio è dominato dal verde e dalle mucche e i cavalli al pascolo.

L’asfalto consumato dell’Alabama lascia il posto a quello ancora più consumato del Mississippi.

“Welcome to Mississippi, Birthplace of America’s Music”, recita il cartello.

Abbiamo deciso di pernottare a New Albany, il paese di appena ottomila anime che, nel 1897, ha dato i natali allo scrittore William Faulkner.

USA Today descrive New Albany come uno dei migliori paesini del Sud e ha ragione. Il centro storico è ben preservato e pieno di negozietti, caffè e diners. Non manca il negozio di armi, un business che, anche qui, come dappertutto nel Sud, non ha conosciuto crisi: quest’anno, come sempre, prima di ogni elezione, la gente ha fatto scorta di armi e munizioni.

«Non si sa mai che vincano i democratici e ne proibiscano la detenzione», ci spiegano.

Il Festival inizia l’indomani mattina al First Monday Trade Day Flea Market, uno spazio di cinquanta ettari che ospita, ogni fine settimana che precede il primo lunedì del mese, una sorta di mercato delle pulci. Un posto che attira, in quei giorni, persone provenienti da tutto il Sud. Se prima qui regnava la legge del baratto e i soldi non venivano accettati, oggi è vero il contrario.

Attraversiamo stand vuoti, gabbie per animali, paddock per cavalli. Il palco è una struttura in legno e metallo coperta. Il pubblico non conta più di quaranta persone. La paura della pandemia è forte e proprio quel giorno l’America batte l’ennesimo nuovo record di contagi. Il tempo, poi, non aiuta. Se il giorno prima in Mississippi c’erano ventiquattro gradi, la mattina del concerto i gradi sono scesi a undici e tira vento.

Un allegro signore, capelli lunghi, sigaro in mano, scherza sugli sbalzi di temperatura frequenti nel Sud. Ci consiglia di andare da Walmart a comprare coperte e calzettoni. Ed è quello che facciamo.

 

Incontriamo Earl “Little Joe” Ayers. Camicia a quadri, pantaloni blu e mascherina nera a coprirgli il volto. Gli chiediamo se suonerà.

«Forse no», ci risponde guardandosi intorno. Il pubblico è sempre poco e il vento si è fatto più forte.

“Little Joe”, che è stato per più di trent’anni membro della Soul Blues Boys, la band di Junior Kimbrough, non è nel programma, ma sappiamo che nei festival del blues in Mississippi i programmi sono solo indicativi.

Tenendo la distanza sociale, gli chiediamo cosa ha fatto negli ultimi mesi.

«Ben poco», ci dice attraverso la mascherina. «Non sono tanti gli eventi musicali in questo periodo.»

«È triste, speriamo finisca tutto presto.»

Sul palco ci sono intanto tre Burnside: Dwayne, accompagnato da Kent e Garry.

Il freddo sembra già meno intenso. La musica inizia a riscaldare l’ambiente.

Dwayne è energico e sorridente come al solito. Ci dispiace solo che ci regali pochi brani. Sul palco sale però “Little Joe”. Si siede, sistema la chitarra e si leva la mascherina. Inizia con I’m a man (Mannish Boy) di Muddy Waters e continua con diversi pezzi classici dell’Hill Country Blues e del Cotton Patch Soul Blues suonato da Junior Kimbrough.

La sua è una voce aspra, antica. È difficile descrivere l’energia che arriva dal palco. Pensiamo a quanto ci sia mancata la musica in tutti questi mesi di Covid. Anche “Little Joe” sembra avere gli stessi pensieri: scende dal palco, dopo mezzora di ottima musica, per risalirci pochi minuti dopo. Con la mascherina abbassata sul mento, accompagna con la voce Kent Burnside. Chiude gli occhi e ci regala un sorriso felice, appagato. Capiamo che anche lui aveva bisogno di questa performance. Tanto quanto ne avevamo bisogno noi.

Kent Burnside continua per un’altra mezzora alternando canzoni di nonno Burnside a pezzi originali.

Dopo la performance, ci racconta di essere arrivato dall’Iowa apposta per il festival. C’è poca gente. Se l’aspettava, ma per un artista suonare è indispensabile come l’aria che respira, il cibo che mangia. E il lungo viaggio ne è valso la pena, anche per un pubblico così esiguo, ci dice.

Kent è nato a Memphis, ma ha trascorso l’infanzia a Holly Springs. Ha iniziato a suonare da bambino con nonno Burnside. Vive ora nell’Iowa, ma torna spesso in Mississippi. Kent ha girato gli States con Jimbo Mathus (l’artista che ha suonato con Buddy Guy) e ha aperto concerti per Buddy Guy.

Tra un intervallo e l’altro, la gente si rifugia nelle macchine con il riscaldamento a palla per resistere fino alla fine. La musica è troppo bella per rinunciarvi a causa del tempo.

Qualcuno piazza una stufa a fungo ai lati del palco per offrire un po’ di calore ai musicisti.

Inizia a piovere e ci rifugiamo nel recinto per cavalli a destra del palco. Siamo in pochi e possiamo mantenere la distanza sociale. Incontriamo Steve Lightnin’ Malcolm. Non suonerà, ci dice, ma ci invita ad andare il sabato successivo da Crawdads, a Merigold, a circa trenta minuti da Clarksdale.

«Un posto abbastanza grande che permette di mantenere la distanza sociale», ci spiega.

Sul palco sale intanto Kenny Brown. Il pubblico è entusiasta. Un signore gli dice di essersi fatto più di cento miglia per ascoltarlo.

Uno degli organizzatori dell’Hill Country Picnic, Kenny Brown, nativo di Selma, in Alabama, si trasferisce con la famiglia nella terra dell’Hill Country Blues, quando aveva un anno. A diciotto anni suona con la band di RL Burnside che lo chiamava “figlio adottivo”.

A Ripley, Kenny inizia subito a fare sfoggio della sua perfetta tecnica slide. La sua voce è forte e le sue interpretazioni dei classici dell’Hill Country sono potentissime. Bellissima la sua versione di Goin’ Down South di RL Burnside.

Il pubblico applaude.

Torniamo a casa felici. Pensiamo a quanto la musica sia importante e a quanto ci sia stata dura la nostra prima estate silenziosa nel profondo Sud americano.

 

Qui potete ascoltare parte del concerto di “Little Joe” Ayers:

Qui Kent Burnside: https://www.youtube.com/watch?v=PdJuPgHjRp8

E qui Kenny Brown: https://www.youtube.com/watch?v=T7DdhpQbJH8

 

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