Little Lee e il suo Chicago blues

Francesca Mereu, Birmingham Alabama

 

Little Lee Pic

La musica di Little Lee è energica, ritmata, in stile old school Chicago blues. E non poteva essere altrimenti, perché questo musicista a Chicago ci ha trascorso trentacinque anni suonando con artisti come Muddy Waters, Magic Slim, Eddie Clearwater e tanti altri.

Nato e cresciuto nella piantagione dei genitori, a Carthage, nel Mississippi, Little Lee —all’anagrafe Hanable L. Gee— vive ormai da vent’anni a Montgomery, in Alabama. L’ho sentito suonare con la sua Midnight Blues Band a Birmingham in un house concert organizzato dalla Magic City Blues Society.

Little Lee ha settantasette anni e sembra impossibile: le sue dita si muovono agili per le corde della chitarra come quelle di un ventenne.

«Anni di allenamento alla scuola del blues», spiega a chi glielo chiede e ride.

La scuola del blues lui l’ha iniziata a dodici anni, quando il padre gli ha regalato la prima armonica.

«Mio padre e mio nonno suonavano il blues, ma ho imparato a suonare l’armonica da solo, a orecchio. A tredici anni ho iniziato a esibirmi. Ho suonato la prima gig a un fish fry non lontano da casa. Un amico mi ha detto: “Andiamo a suonare che ci danno il pesce gratis.” Io ero all’armonica e lui alla chitarra. Come compenso abbiamo ricevuto del pesce fritto ed era buonissimo. Abbiamo suonato parecchio assieme io e il mio amico», mi racconta.

La chitarra l’ha presa in mano a quattordici anni: un regalo dell’amico di gig che lasciava il Mississippi per andare a lavorare a Milwaukee. Da allora ci sono state diverse chitarre e solo poche volte, Little Lee ha posato lo strumento.

Come tanti neri, al tempo, nel Sud, Little Lee sognava di lasciare il Mississippi per il Nord. Il lavoro di contadino era duro e malpagato. Lavorare in fabbrica era il suo sogno.

«Il primo lavoro fuori dal Mississippi era in una fattoria in Oklahoma. La paga era buona, mi davano dai settanta agli ottanta dollari a settimana, mentre nel Mississippi guadagnavo a malapena due dollari al giorno. Lavorare nei campi, però, non mi piaceva. Volevo un posto in fabbrica, un lavoro, insomma, più leggero. Mi sono, così, trasferito a Detroit e ho lavorato per la compagnia di assistenza stradale Triple A. Ci sono rimasto un anno. Mio padre si era ammalato e sono dovuto tornare nel Mississippi per aiutare nella piantagione. I miei coltivavano il cotone e il mais.»

Il sogno di lasciare il Sud e soprattutto i campi di cotone, Little Lee lo ha realizzato nel 1965 partendo per Chicago, dove viveva un cugino. Dietro si era portato la chitarra e la voglia di conoscere la scena musicale di cui aveva tanto sentito parlare.

«Mio cugino era alla stazione ad aspettarmi. Appena sceso dal treno mi ha detto: “Ehi, andiamo a sentire Howlin’ Wolf.” Ho pensato che come inizio non fosse male», mi racconta ridendo.

«Quell’uomo sapeva suonare», continua Little Lee imitando voce e movimenti di Howlin’ Wolf. «Era qualcosa di incredibile, un vulcano di energia.»

Nella Chicago del tempo, il blues la faceva da padrone. Nei locali del Southside suonavano artisti che sono diventati icone di questo genere musicale. Little Lee non solo andava ad ascoltarli, ma ci ha anche suonato assieme.

«Ho suonato con Muddy Waters, Magic Slim, Eddie Clearwater, Jimmy Reed e tanti altri. Non ho mai suonato con Wolf, ma lo conoscevo e mi piaceva ascoltarlo. Al tempo, ci conoscevamo tutti. Suonavamo il blues ed era normale dividere lo stage con gli altri musicisti blues. Nessuno era famoso allora. Eravamo musicisti e basta. Dai tempi di Chicago, conosco molto bene Buddy Guy anche se non abbiamo mai suonato assieme.»

Gli chiedo chi fosse il suo musicista preferito, quello che più di tutti ha ispirato il suo blues.

«Jimmy Reed», mi risponde senza esitazione. «Amavo il suo stile, le sue composizioni. Amavo anche la musica di Muddy Waters, la sua voce, ma Jimmy Reed era quello che mi emozionava di più.»

«Al tempo ognuno aveva il suo stile. Alcuni sostenevano che la mia musica somigliasse a quella di Jimmy Reed, altri a quella di Magic Slim. Ho amato diversi artisti, ma ho creato poi il mio stile.»

A Chicago, oltre a suonare la chitarra, ha iniziato a cantare e ha creato una band. Avere un nome d’arte era un requisito necessario al tempo. Ecco com’è nato quello di Little Lee: «Una sera, prima di suonare, un armonicista ha notato che non avevo un nome d’arte. “Tutti ce l’hanno e dovresti averlo anche tu”, mi ha detto. Mi ha elencato allora una serie di nomi, ma non mi piacevano. “Che ne pensi di Little Lee?” Gli ho detto di sì, mi sembrava un ottimo nome.»

Il nome gli è così piaciuto che Little Lee ha quasi dimenticato quale sia il suo vero nome. Ho dovuto fargli diverse domande per farmelo dire.

A Chicago ha lavorato per una compagnia elettrica, si è sposato e ha avuto tre figli.

«La sera e il fine settimana, però, suonavo il blues. Ho anche viaggiato per suonare. Avrei voluto dedicarmi solo alla musica, ma non potevo lasciare il lavoro alla compagnia elettrica, perché non era facile vivere di sola musica. Ci davano tre dollari a testa per suonare una gig. Per mantenere una famiglia c’era bisogno di un lavoro stabile, di uno stipendio fisso.»

Little Lee ha scritto diverse canzoni.

«Le parole mi venivano in mente insieme alla musica», mi racconta.

Gli chiedo se le canzoni scritte negli anni di Chicago fossero ispirate dalla sua vita in città, ma mi risponde che non lo erano. Le canzoni gli venivano in mente nei momenti più impensabili ed erano ispirate ai fatti più disparati.

«Nella Chicago degli anni Settanta, la vita dei neri era più facile. Era il tempo dell’integrazione razziale, di Martin Luther King. Avevamo ottenuto i diritti civili. Si iniziava a respirare aria di libertà. Il razzismo era meno, rispetto al Sud e la città si stava integrando. Erano bei tempi.»

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