Francesca Mereu, Birmingham, Alabama
Gli ingredienti c’erano tutti: Il Red Wolf, un vero juke joint della periferia nera di Birmingham, in Alabama (vedi Il Blues N. 134, marzo 2016) e la musica di Bill Abel, cantante e chitarrista del Mississippi. Un ritmo ipnotizzante che rispetta la tradizione del migliore Hill Country Blues.
Il risultato? Tre ore in cui pochi sono riusciti a rimanere seduti e a resistere al ritmo incalzante della musica di Bill. È raro sentire una musica così viva, potente uscire da chitarra e voce di un artista bianco. La musica di Bill ha infatti quella spezia in più che di solito appartiene ai musicisti afroamericani. Solo dopo averlo intervistato, l’indomani, nel nostro front porch di Birmingham, ho capito il perché: questo artista ha un rispetto unico per la tradizione musicale afroamericana e i suoi maestri.
Bill è una persona umile, pacata, si definisce uno studente del blues, anche se avrebbe molto da insegnare. Parla di questa musica e degli artisti della vecchia generazione («i maestri») con ammirazione e stupore: «Il loro ritmo è così profondo, molto più profondo del ritmo occidentale. Gli afroamericani della vecchia generazione sanno aggiungere al ritmo una melodia, che non è la parola. Loro infatti con la voce riescono a imitare il suono del sassofono o il battito del tamburo. È incredibile ascoltarli, come è incredibile conoscerli nella vita quotidiana. Parlano in rima e si muovono nello spazio seguendo un certo ritmo. Lo fanno quando sono a casa, quando cucinano…»
Bill è nato nel 1963 a Belzoni, nel Mississippi Delta. Nonostante l’area sia definita tradizionalmente come la culla del blues, l’artista non è cresciuto ascoltando questo genere musicale, perché nel Mississippi i neri e i bianchi vivevano in mondi separati che mai si incontravano.
«Il mondo del blues era distante dal nostro», mi spiega. «Negli anni Sessanta e Settanta i pregiudizi erano tanti. Ricordo bene la segregazione nel Mississippi. Quante volte ho sentito urlare: “Ehi, tu, negro, vattene via”, o “Tu, negro, siediti”. I bianchi parlavano con le persone di colore come se fossero dei cani e questo succedeva tutti i giorni. Mi ricordo i neri che camminavano sempre a testa bassa, come se li avessero picchiati (in realtà l’avevano fatto verbalmente). Da bambino i neri mi chiamavano “boss” e mi davano del “signore”. Eravamo così separati e anche il blues era distante da noi.»
Il primo incontro con il blues per Bill avviene da adolescente, attraverso la radio. Una stazione del Mississippi aveva, infatti, un programma di musica blues nel quale un DJ bianco del Texas raccontava anche aneddoti su questo genere musicale. A Bill viene voglia di saperne di più e di incontrare gli artisti blues della sua zona.
«Ti racconto una storia che sembra inventata, ma non lo è. Avevo circa diciassette anni. Volevo incontrare i bluesmen. Un signore, un giorno, mi disse che ne conosceva uno. Era in prigione per omicidio. Andai nella prigione di Belzoni per incontrarlo. L’uomo prese in mano la chitarra e iniziò a suonare un bel blues. Mi disse che aveva registrato con la Sun Records, o così almeno mi sembra di ricordare. Ci sono andato diverse volte da lui. È un vero peccato che non ricordi il suo nome. È stato, però, un bell’incontro avvenuto nella prigione di cui Charley Patton parla nella sua Hi Sheriff Blues.»
Bill inizia poi ad andare ai festival del blues.
«I festival del blues erano gli unici eventi pubblici dove i neri e i bianchi stavano insieme. Ed era così bello. Mi ricordo che spesso durante i festival, mi guardavo attorno e mi dicevo: “Ehi, questo non lo può fermare nessuno.” Il blues ha fatto tanto per riconciliare le due razze.»
Bill racconta che alcuni bianchi andavano nei juke joint dei neri per ascoltare la loro musica, o parcheggiavano le macchine vicino alle chiese nere per sentire i gospel. Lo facevano però di nascosto dagli altri bianchi, perché l’amicizia tra bianchi e neri non era ben vista nel Sud.
Nel 1985, a ventun anni, Bill incontra Paul “Wine” Jones che gli fa conoscere diversi musicisti neri. Inizia a suonare con loro. Oltre a Paul “Wine” Jones, Bill ha suonato con moltissime leggende del blues come T Model Ford, Honey Boy Edwards e “Cadillac” John Nolden, artista con il quale suona tutt’oggi.
«Ho avuto la fortuna di imparare dai grandi maestri. Ho molto rispetto per quello che fanno e hanno fatto. Io sono solo un semplice studente del blues.»
Parlando del blues attuale, Bill non è d’accordo con quelli che sostengono che il vero blues sia morto.
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